Il populismo in Italia ha preso il potere, oltre che per la crisi economica e certi eccessi di immigrazione, per precise responsabilità delle forze di centro-destra e centro-sinistra che hanno governato l’Italia negli ultimi 25 anni. Stile e contenuti dei loro governi non devono essere stati molto graditi a un elettorato rivoltatosi, lo scorso marzo, contro la “politica”, per premiare un non partito, il populista M5S, e il partito di Matteo Salvini, nato per separare dal resto d’Italia le regioni economicamente più avanzate del nord e oggi partito d’ordine. Ha contribuito anche la personalizzazione della politica, inaugurata da Berlusconi, che ha premiato, dopo Matteo Renzi, gli emergenti Salvini e Di Maio. Hanno pesato, inoltre, i continui bisticci interni, soprattutto tra i democratici, tradottisi nell’assassinio politico di Prodi e Letta, quindi nelle diaspore antirenziane.
Non che le forze dell’attuale governo non soffrano di contrasti interni, ma almeno non hanno mai preteso di vendere un’immagine armonica della loro collaborazione, facendola derivare da un “contratto” di governo sottoscritto proprio per appianare le differenze tra i rispettivi programmi. Non è questo che gli si rimprovera, ma l’irrisolutezza nell’assumere decisioni, la contraddittorietà delle misure socio-economiche rispetto agli obiettivi da raggiungere, l’isolamento nel quale stanno cacciando l’Italia per tentare di dare scacco alle istituzioni dell’Unione Europea e andare da “vincitori” al voto europeo di maggio. Nel frattempo l’Italia dopo gli anni del ministro dell’economia Padoan che aveva riportato a segno positivo il tasso di crescita del prodotto interno, registra, a causa anche del continuo rinvio delle misure economiche dell’attuale ministro Tria, il ritorno al trimestre di recessione.
di Luigi Troiani/La voce di New York