Livio Gigliuto, Vice Presidente dell'Istituto Piepoli, intervistato da Domenico Bonaventura sull'impatto dell'effetto Draghi nella politica italiana.
Il nome di Mario Draghi ha messo quasi tutti d’accordo. Al netto di veti più o meno incrociati tra partiti, da Leu alla Lega è stato un “signorsì” alla chiamata di Mattarella.
Fratelli d’Italia continua a tenersi fuori dall’ormai celebre “perimetro della maggioranza” che sostiene il presidente del Consiglio incaricato. E il punto è proprio questo. Il Centrodestra. Che, volendo parafrasare una gag di alcuni anni fa di Checco Zalone, si trova ora a ballare una pizzica che non si sa dove porterà.
O meglio, i tre partiti (più i gruppi minori) stanno operando un riposizionamento le cui conseguenze sono ancora ben lontane dal palesarsi. «Lo abbiamo detto anche in altre occasioni. Il consenso è l’altra faccia di una mossa politica, e ora conta relativamente. Adesso è importante osservare il posizionamento dei partiti. E ciò vale soprattutto per la coalizione di Centrodestra», sostiene Livio Gigliuto, vicepresidente di Istituto Piepoli e direttore dell’Osservatorio Nazionale sulla Comunicazione Digitale (Istituto Piepoli e PA Social).
«Il blocco delle forze politiche che hanno appoggiato il Governo Conte Due – prosegue Gigliuto – ha dato consenso unanime al presidente Draghi. Bisognerà vedere il risultato di Rousseau, che in qualche modo potrebbe aprire qualche crepa nel M5S e, nella peggiore delle ipotesi, potrebbe addirittura fare in modo che l’esecutivo diventi a trazione Lega-FI. Ma sostanzialmente, riscontriamo un passaggio in blocco su Draghi». Persino del Pd, che ha oltrepassato il «Rubicone degli ultimatum» al grido di «Conte o voto! », per riposizionarsi «sulla linea di Azione, Italia Viva, +Europa. Insomma, “l’effetto Draghi lato sinistro” ha prodotto risultati e cancellato differenze, forse sulla scia di quella fascinazione per la competenza che ciclicamente torna in Italia».
Non è lo stesso, come detto, dall’altro lato, dove – causando non poco stupore – anche Salvini ha risposto presente all’appello del Capo dello Stato, insieme a Forza Italia. Chi non partecipa al ballo è Giorgia Meloni. «Gli elettori di Centrodestra sembrano in maggioranza favorevoli al coinvolgimento della coalizione nell’esecutivo – spiega Gigliuto, in libreria da qualche settimana con «L’Opinione degli italiani nel primo ventennio degli anni 2000», scritto con Nicola Piepoli per FrancoAngeli -, e Salvini ha dovuto in qualche modo rendere conto alla base elettorale della Lega, che è e resta l’imprenditoria del Nord. Il Carroccio, e il suo segretario, hanno un consenso che non è come quello di Renzi o di Berlusconi, ovvero basso ma granitico e fedele. Al contrario, è più soggetto alla liquidità che caratterizza il voto di oggi. Per questo, Salvini ha in qualche modo dovuto dare un segnale di attenzione verso i suoi elettori, e dunque si è visto quasi costretto a sposare la linea Giorgetti e ad appoggiare il nascente governo».
Discorso diverso per Fratelli d’Italia, la cui base elettorale risponde ai valori conservatori della Destra. «Molti degli elettori vorrebbero che il partito appoggiasse Draghi, ma sanno che governare con questa maggioranza così larga sarebbe molto complicato. Per questo – è l’analisi di Gigliuto -, la Meloni sta puntando non al titolo in prima pagina di domani mattina, ma a consolidare il proprio elettorato sul medio-lungo periodo provando, allo stesso tempo, ad allargare la propria base di consenso». Chi invece ha certamente giocato bene le proprie carte è Forza Italia, con Berlusconi che, da sempre richiamandosi alla collaborazione istituzionale, invocava già da prima una soluzione di questo genere. «Certo, ha divaricato l’alleanza, ma il Centrodestra è molto abile a ricompattarsi in occasione di tornate elettorali».
Il posizionamento, insomma. Ora molto più importante del consenso. «Prima bisogna che la situazione trovi un punto di assestamento – chiude Gigliuto -, poi saremo pronti a misurare la temperatura del Paese».
Domenico Bonaventura per il Riformista